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Spinazzola: “La vittoria della Conference è stata una liberazione per me”

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Spinazzola, Roma

Leonardo Spinazzola è stato il nuovo ospite dell’AS Roma Podcast. Il terzino ha parlato della Conference vinta, della Nazionale e del suo infortunio.

Poco a poco Leonardo Spinazzola sta cercando di recuperare dal brutto infortunio subito ormai un anno fa durante gli Europei. L’esterno della Roma è il protagonista dell’ultimo episodio dell’AS Roma Podcast. L’ex Juventus ha risposto ad alcune domande sulla Conference League, la Nazionale e del lungo calvario dopo la rottura del tendine d’Achille. Ecco le sue parole.

La finale di Conference League
“La sera della finale vinta abbiamo detto: ‘non ci rendiamo conto di quello che abbiamo fatto. Lo sapremo solo al nostro ritorno a Roma il giorno seguente’. Quel giorno è stato una liberazione per me dopo un anno incredibile. Ha rappresentato la chiusura del cerchio”.

La mancata convocazione in Nazionale
“È stata una mia richiesta. Il mister mi ha concesso questa settimana per lavorare e rimettermi a posto. Farò dei lavori specifici che mi mancano da luglio, infatti non ho fatto niente per il polpaccio e per tutta la catena. Gli ho chiesto questa cortesia e lui ha capito”.

L’infortunio
“Questo infortunio è uno dei peggiori per un calciatore e soprattutto per uno con le mie caratteristiche. Mi manca l’appoggio quando vado veloce devo andare sull’avampiede. Sto cercando comunque di riprendere il più possibile”.

Il Virtus Foligno e l’esultanza alla Batistuta, avevi la Roma nel destino?
“Sì, stimavo Batistuta. Anche vedere Totti e Cassano insieme era troppo bello. La Roma è stata sempre una squadra bella e divertente, con grandi giocatori. Ho sempre seguito i calciatori, non le squadre. Ho iniziato con Batistuta, poi amavo Ronaldo: tutti i giorni provavo le sue finte. Prima ero un trequartista, quindi prima ammiravo anche Rui Costa e Kakà. Poi Totti e Del Piero”.

A Siena il tuo primo infortunio grave, hai pensato di smettere?
“Sì, avevo 14 anni, ti allontani da tutte le comodità della famiglia. Poi dopo un mese entrata sulla caviglia, sono stato fuori due mesi, dovevo andare a scuola per forza perché altrimenti mi avrebbero cacciato. Ogni giorno con le stampelle i chilometri avanti e indietro, ho passato sei mesi davvero difficili, ma è normale perché a 14 anni sei molto piccolo. Poi mi sono abituato. Non ho smesso, anche grazie all’aiuto della famiglia, ogni volta che mi sentivano strano al telefono prendevano la macchina e venivano da me”.

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